Luca Zaia non sarà candidabile alle prossime elezioni regionali in Veneto, previste per il 23 e 24 novembre 2025, a causa del limite dei mandati previsti dalla legge regionale e confermati dalla Corte Costituzionale.
L’abisso col centrosinistra
La notizia ha scosso il centrodestra anche a livello nazionale, e ha aperto un acceso dibattito sull’erede designato per guidare la regione nei prossimi cinque anni. Scrivo così perché il Veneto non ha alcuna possibilità di passare al centrosinistra, nelle elezioni che si terranno tra meno di due mesi.
In primis per le condizioni disastrate del centrosinistra nazionale: l’alleanza col M5S si è già dimostrata fallimentare nelle recenti elezioni regionali marchigiane; l’approccio sulla guerra a Gaza e i tentennamenti sull’asse NATO non hanno portato alcun frutto in termini di appeal; e la segretaria innalzata a simbolo di lotta intersezionale non sembra riuscita a portare alcun voto in più al Partito Democratico, spostandolo dalle lotte sociali a quelle sui diritti.
A questo scenario catastrofico all’interno del centrosinistra va aggiunto che il centrodestra parte già di suo da una posizione di vantaggio incolmabile. Alle ultime elezioni regionali del 2020 Luca Zaia è stato rieletto presidente con una percentuale straordinaria del 76,79% dei voti validi. Questo risultato rappresenta il più alto consenso mai registrato in una regione italiana dal 1995, anno in cui è stata introdotta l’elezione diretta del presidente di regione. Il principale sfidante di Zaia, Arturo Lorenzoni del centrosinistra, aveva ottenuto il 15,72% dei voti. Un abisso.
Niente terzo mandato
Il regolamento attuale, in linea con la normativa nazionale, impedisce ai presidenti delle giunte regionali di ricoprire più di due mandati consecutivi, misura pensata per evitare la concentrazione del potere e favorire il ricambio politico. Nel caso del Veneto, la legge regionale del 2012 ha recepito questo principio con una precisazione importante: il limite dei due mandati si applica solo ai mandati successivi all’entrata in vigore di tale legge, cioè a partire dalle elezioni del 2015 in poi. Questo significa che il mandato di Zaia iniziato nel 2010 non viene conteggiato ai fini del limite dei mandati.
Zaia aveva provato a spostare la data delle elezioni o a ottenere una deroga, ma senza successo: il Consiglio di Stato che ha confermato l’obbligatorietà della scadenza elettorale e l’ineleggibilità del governatore uscente.
Il fattore Z
Il solo Zaia rappresenta un valore aggiunto fondamentale per la coalizione di centrodestra in Veneto, grazie al suo carisma personale, e alla forte popolarità costruita in oltre un decennio di governo. La sua figura traina non solo la Lega, ma l’intera coalizione, contribuendo a mantenere l’ampio consenso e la coesione tra i diversi partiti che la compongono. Salvini stesso ha più volte definito la “lista Zaia” come un valore aggiunto, una risorsa capace di attrarre voti anche al di fuori della tradizionale base elettorale del centrodestra, riducendo così i rischi di dispersione dei consensi.
Senza Zaia come candidato presidente, la coalizione rischia di perdere quel vantaggio di personalizzazione e appeal che ha caratterizzato la sua leadership. La Lega, pur restando il partito più radicato in Veneto con migliaia di iscritti e molti sindaci, vede ridursi il suo ruolo di attrattore rispetto a prima, mentre Fratelli d’Italia, che alle ultime consultazioni ha triplicato i consensi rispetto alla Lega, punta a giocarsi una candidatura autonoma, aumentando la competizione interna.
La lotta interna al centrodestra
Questo scenario ha acceso un dibattito al centrodestra, dove la Lega si trova ora a dover indicare un successore all’altezza. Al momento non c’è una candidatura univoca: tra i nomi circolati spiccano quello di assessori regionali di peso come Roberto Marcato o Elisa De Berti, ma anche figure esterne al consiglio regionale con forte radicamento territoriale e capacità di aggregare le diverse anime leghiste e alleate. Il nodo principale resta però la sfida di mantenere il consenso costruito da Zaia in più di un decennio di governo, specie in un contesto politico nazionale dove la Lega subisce la concorrenza interna di Fratelli d’Italia.
La lista alla successione
La lista dei volenterosi successori di Zaia è lunga. Il favorito è considerato Alberto Stefani, attuale segretario regionale della Lega in Veneto. Figura di primo piano nel partito, vicino a Matteo Salvini, già assessore regionale, con esperienza consolidata nella politica veneta.
Raffaele Speranzon è un senatore di Fratelli d’Italia, prospettato come possibile candidato qualora il partito della Meloni spingesse per una candidatura autonoma in Veneto. Figura emergente nel partito, con buoni legami a livello regionale.
Luca De Carlo è un deputato e figura di spicco di Fratelli d’Italia in Veneto, spesso citato come possibile candidato presidente; ha un buon radicamento territoriale e politico nel territorio veneto.
Roberto Marcato è un assessore regionale della Lega con competenze tecniche e di governo, frequentemente menzionato tra i papabili per sostituire Zaia, anche se meno in pole position rispetto a Stefani.
Elisa De Berti è un’attuale assessora con un ruolo importante nella giunta regionale, donna di spicco all’interno della Lega veneta, potenziale alternativa per la candidatura con capacità di aggregare i moderati.
La filosofia dietro la scelta
Sul piano politico, il dibattito va oltre la mera scelta del candidato. Alcuni nel centrodestra spingono per un profilo più “moderato” e istituzionale, che possa garantire stabilità e continuità amministrativa, mentre altri tifano per volti più “nuovi” e dinamici, capaci di mobilitare elettorato giovane e moderare l’appeal di eventuali sfidanti del centrosinistra o di forze populiste.
Zaia, da parte sua, continua a godere di un grande consenso personale e non esclude di restare un punto di riferimento politico, ma sempre fuori dalla corsa elettorale per la presidenza. L’eredità politica e il futuro del Veneto si giocano dunque ora sulla capacità del centro-destra di trovare una nuova leadership capace di raccogliere e rilanciare l’eredità di un presidente che ha segnato un’epoca.