Il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, intervenuto al Senato, ha tracciato un quadro delle principali sfide economiche italiane, con un focus netto sulla prossima legge di bilancio e sul rapporto con l’Europa. Nel suo discorso, ha sottolineato la necessità di un “mea culpa” comunitario riguardo alla transizione green, definita un disastro per l’industria, in particolare per il settore automotive, penalizzato da iper-regolamentazione e eccessiva burocrazia.
I numeri del Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp) si allineano con le stime OCSE, ma restano al di sotto delle previsioni – più ottimistiche – della Commissione Europea. A pesare sono fattori esterni come le tensioni geopolitiche e i prezzi energetici elevati, ma anche una situazione internazionale complessa che limita gli spazi di manovra.
Sul fronte dei conti pubblici, il deficit dovrebbe attestarsi vicino al 3% del PIL, soglia cruciale che potrebbe permettere all’Italia di abbandonare la procedura europea per disavanzi eccessivi già nella primavera del 2026. Il Tesoro prevede emissioni di titoli di Stato per almeno 20 miliardi di euro nei prossimi mesi, con due nuovi BTP a 5 e 10 anni e la riapertura di titoli a medio-lungo termine. Cruciale è stato il calo dello spread BTP-Bund, tornato intorno agli 80 punti, che ha liberato risorse per oltre 13 miliardi di euro nel biennio 2025-26 riducendo il peso della spesa per interessi.
In tema salariale, il ministro ha rivolto un appello alle imprese affinché partecipino al rilancio della crescita salariale, in sinergia con il recupero dei contratti arretrati nella pubblica amministrazione, per cui la legge di bilancio 2024-30 ha stanziato risorse importanti. Si tratta, a suo dire, di un elemento essenziale per sostenere la domanda interna e la coesione sociale.
Il percorso di riforma e di pianificazione economica è integrato da una revisione tecnica del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), con la rimodulazione degli obiettivi e la creazione di “facility” finanziarie, veicoli che consentono di estendere i tempi di utilizzo dei fondi europei legati alle famose “comunità energetiche” e altri progetti, sostenendo investimenti per circa 10 miliardi, in parte destinati a semplificare l’accesso agli incentivi per le imprese.
Sul versante dell’edilizia privata, si profila una riforma del Testo unico del settore con una bozza di disegno di legge delega che introduce semplificazioni significative, come la sanatoria facilitata per abusi edilizi precedenti al 1° settembre 1967, strumenti di silenzio-assenso per accelerare i permessi e il rafforzamento della digitalizzazione tramite il fascicolo del fabbricato, una sorta di “storia digitale” degli immobili.
Non si possono tacere alcune criticità evidenti nella linea politica delineata dal Governo.
Innanzitutto, la crescita prevista per il 2025, ferma allo 0,5% secondo il Documento programmatico di finanza pubblica, è al di sotto della già modesta previsione della Commissione Europea e delle aspettative del sistema economico. Questa crescita bassa, quasi stagnante, riflette carenze strutturali che la manovra non sembra affrontare con la necessaria incisività, rischiando di lasciare il Paese in una situazione di sviluppo rallentato e fragile.
L’appello del ministro Giorgetti alle imprese affinché contribuiscano al rilancio salariale, nonostante sia formalmente condivisibile, appare insufficiente e poco supportato da concrete politiche di contrasto alla stagnazione salariale. In Italia i salari reali sono fermi da oltre 15 anni, con un calo significativo del potere d’acquisto. Senza la crescita economica, la promessa di rialzi rischia di restare lettera morta, esponendo il Paese a nuove tensioni sociali e perdita di competitività interna.
Sul fronte degli incentivi alle imprese, le critiche arrivano da più parti per la scarsa efficacia degli strumenti messi in campo. Le misure di Industria 5.0, concepite come volano per la modernizzazione, mostrano tassi di utilizzo bassissimi, dovuti a regole troppo complesse e procedure burocratiche che scoraggiano le aziende, in particolare le Pmi, a sfruttare appieno le opportunità. La mancanza di una vera semplificazione rischia di penalizzare ancora una volta il tessuto produttivo, ostacolando l’innovazione e la competitività. Anzi, una semplificazione estesa, più che gli incentivi economici, sembra sempre più la strada da seguire.
Infine, la bozza di riclassificazione degli abusi edilizi, sulle quali si annuncia una facilitazione della sanatoria, solleva dubbi profondi. Il rischio è di legittimare irregolarità con effetti deleteri per il territorio, la sicurezza e la legalità, alimentando un sistema ambiguo che non affronta con fermezza il problema degli abusi diffusi, tra i reati più frequenti e impattanti in Italia. La politica delle tolleranze rischia di compromettere la qualità urbana e rallentare gli interventi di rigenerazione necessari per uno sviluppo sostenibile.
Questi aspetti segnalano che, al di là dei buoni propositi espressi, la politica economica italiana si trova ancora di fronte a scelte complesse che richiedono coraggio e visione, oltre a una più efficace capacità amministrativa per tradurre strategie in risultati concreti e duraturi.