Nella Apella spartana, inizialmente, le mozioni venivano approvate per acclamazione. Ossia, vinceva chi faceva più rumore.
Il (fu) Papa Francesco Primo, nelle sue innumerevoli scivolate sulla comprensione della geopolitica aveva però – almeno una volta – indovinato: questa è una guerra mondiale combattuta a pezzi. Lo disse nel 2014, gli va dato atto di essere stato tra i primi.
Non gli si può dare atto di aver capito la sua stessa affermazione. Quella che viviamo è una guerra mondiale. Tutta intera. I fronti aperti sono molti, i più evidenti sono in Ucraina e a Gaza, ma gli schieramenti – quelli ideologici – sono solo due.
Per capire quali sono questi due fronti dobbiamo fare una piccola digressione. [Parliamo di filosofia, quindi, se non vi va, potete saltare tutta la parte tra parentesi quadre. Conviene che vi sforziate, però, se volete capirci qualcosa.]
[Secondo Bertrand Russell, dall’opera di Locke nasce il liberalismo, mentre da Rousseau origina l’ideologia della democrazia diretta e della sovranità popolare. Il conflitto tra le due si basa sul modo in cui concepiscono il rapporto tra individuo e società: il liberalismo di Locke valorizza la libertà individuale e la limitazione del potere statale, creando sistemi di pesi e contrappesi per garantire i diritti del singolo; la democrazia di Rousseau invece esalta la volontà generale e la piena partecipazione collettiva, anche a costo di sacrificare la volontà individuale per il bene comune. Per Russell, queste due concezioni generano una tensione storica: da un lato, l’ideale di libertà e autonomia personale; dall’altro, l’ideale di eguaglianza e partecipazione che può sfociare in forme di democrazia autoritaria o persino totalitarismo, se la volontà generale viene imposta in modo assoluto.
Concorda (a priori, diciamo) con Russell anche Benjamin Constant, che mette in luce la differenza tra la libertà degli antichi (collettiva, come in Rousseau) e quella dei moderni (individuale, come in Locke).
Anche Isaiah Berlin sposa la lettura russelliana distinguendo tra libertà negativa, propria del liberalismo di Locke, e libertà positiva, caratteristica dell’ideale di Rousseau, indicando nei rischi dell’assolutismo democratico una possibile deriva autoritaria della tradizione democratica radicale.
Questi due fronti si sono scontrati nella seconda guerra mondiale, e si stanno scontrando nella terza.]
Semplificando al massimo, abbiamo da un lato le forze liberali, dall’altro le forze totalitarie. Allora è facile capire da che parte stare? No. Non è facile perché è complicato capire chi appartiene a una di queste forze, e in più non è ben chiaro il limite tra le due filosofie.
Se è facile per noi occidentali schierarci contro dittature palesi come la Corea del Nord o l’Iran, diventa via via più complesso se parliamo di Russia, Turchia, Arabia Saudita, etc. (Pensate all’Ungheria di Orban, nella NATO, nella UE, eppure con chiari problemi di tenuta della democrazia.) Una buona regola spannometrica che adotto è la seguente: immaginate di essere dei mezzi matti appassionati di una causa persa. Poi immaginate che, nella vostra folle ossessione per questa causa, vogliate manifestare in pubblica piazza il vostro appoggio. Vi verrebbe impedito? Perché?
Ma è ancora più complesso di così. La frattura che divide individualismo da totalitarismo è anche all’interno della nostra stessa società.
Lo stesso dibattito sulla libertà di parola a cui assistiamo da anni ne è un buon esempio. Se ci pare ovvio che ognuno possa pensare e dire quello che gli pare, ci pare altrettanto ovvio che debbano esserci dei limiti. Chi li stabilisce? In che modo? Questa è la sottilissima linea di faglia che separa le due filosofie che si stanno facendo la guerra (ancora) oggi. Ed è una guerra che fa vittime su fronti di guerra veri, come quelli già citati dell’Ucraina e di Gaza. Sembrano comunque fronti di guerra distanti da noi. Sembrano.
Questa guerra è soprattutto una guerra di propaganda. Da più di un secolo ci diciamo che la prima vittima della guerra è la verità. Ma come faccio a sapere qual è la verità? Quando viene data una notizia, come faccio a capire se mi stanno manipolando?
All’inizio della guerra in Gaza dell’ottobre 2023, Hamas dichiarò che Israele aveva bombardato l’ospedale Al-Ahli Arab Hospital causando centinaia di morti.
Appena diffusa la notizia il 17 ottobre, i media palestinesi, Hamas e varie testate internazionali (tra cui Reuters, BBC, CNN e The New York Times) parlarono di un attacco israeliano all’ospedale e di centinaia di vittime. Quasi tutti attribuirono immediatamente la responsabilità a Israele riprendendo le fonti di Hamas e del Ministero della Salute di Gaza. Le immagini e testimonianze disponibili sembravano rafforzare la narrativa di un attacco aereo diretto alla struttura sanitaria e provocarono fortissime reazioni internazionali, proteste e annullamento di incontri diplomatici.
Nelle ore successive Israele negò la responsabilità, sostenendo che l’esplosione era causata da un razzo malfunzionante lanciato da gruppi armati palestinesi. Come evidenza furono diffusi video di sorveglianza, registrazioni audio attribuite a combattenti di Hamas, immagini dei danni compatibili più con una detonazione in superficie che con un missile da aereo, e analisi tecniche del cratere e dei resti dell’ordigno.
Pochi giorni dopo, gran parte dei media internazionali riconobbero l’errore iniziale e iniziarono a correggere la notizia, sottolineando di essersi fidati troppo delle fonti di Hamas senza avere verifiche indipendenti. Il New York Times pubblicò un editoriale ammettendo di aver “fatto affidamento eccessivo” sulle dichiarazioni di Hamas e di non aver chiarito la mancanza di conferme. Analisi indipendenti e intelligence occidentali (USA, UK, Francia) conclusero che il responsabile era probabilmente un razzo sparato dalla stessa Gaza, caduto nel parcheggio dell’ospedale, verosimilmente per errore tecnico e non un attacco israeliano diretto.
Potremmo proseguire con esempi, anche di segno opposto. Questa guerra mondiale si combatte per il controllo delle nostre opinioni, oltre che con i fucili e i missili.
Le notizie che ci raggiungono sono quelle che fanno più rumore. Come nella Apella spartana, vince chi fa più rumore.
Sui social media, ma anche su siti che vengono considerati più affidabili, perfino i siti dei giornali nazionali e internazionali, il meccanismo è lo stesso: ciò che ottiene più clic, più condivisioni, più citazioni, acquista automaticamente il valore di verità. Non importa tanto la solidità della fonte o la verifica dei fatti: quello che conta è la diffusione. È il bias dei numeri, una distorsione che confonde popolarità e autorevolezza. Fake news virali appaiono più credibili di un’informazione corretta ma meno condivisa, e l’eco della ripetizione si trasforma in legittimazione.
Wikipedia, nata come grande impresa collaborativa del sapere, non è immune da questo rischio. Le voci più visitate o più editate spesso si consolidano in una forma che riflette non solo la ricerca di accuratezza, ma la pressione del consenso. Analogamente, sui social basta un titolo sensazionalistico e migliaia di condivisioni per trasformare un dubbio infondato in certezza apparente. È un circolo vizioso: la maggioranza numerica diventa criterio di verità.
Il problema è culturale oltre che tecnologico. Siamo abituati a pensare che “molti ne parlano, quindi bisogna darci credito”. Ma la scienza, la storia, la conoscenza non funzionano così: non hanno bisogno di like, bensì di argomentazioni fondate.
Nella Apella che è il mondo intero connesso a internet, ci sono voci largamente minoritarie che, se non tendiamo bene l’orecchio, non possiamo sentire.
Solo i più attenti sono riusciti a carpire qualche notizia sugli uiguri, una minoranza musulmana turcofona in Cina. La repressione con campi di detenzione e sorveglianza tecnologica è stata per anni quasi nascosta dalla censura cinese. Le informazioni sono trapelate spesso tramite social media, ma la Cina ha più volte bollato come fake news le testimonianze di violenze e detenzioni forzate, e la scarsità di fonti ufficiali affidabili ha alimentato confusione e sfiducia nei messaggi veri su questo dramma.
In Africa, soprattutto nella regione del Sahel e in Nigeria, la violenza contro i cristiani dura da anni, causata da gruppi jihadisti come Boko Haram e da milizie etniche come i pastori Fulani, che colpiscono chiese, scuole, villaggi e provocano migliaia di morti e sfollati.
Nonostante i numeri impressionanti — con oltre 7.000 cristiani uccisi in Nigeria solo nei primi otto mesi del 2025 e milioni di sfollati in tutta la regione — la loro voce rimane spesso inascoltata sul grande palcoscenico mediatico internazionale. Questo perché, essendo una minoranza in molti paesi, i cristiani subiscono un doppio silenzio: quello delle istituzioni e quello del pubblico, spesso distratto o disinformato. Gli attacchi ai cristiani non riescono a diventare notizie virali durature, perché la loro gravità viene oscurata da un bombardamento continuo e disordinato di notizie sui social media, dove domina il bias dei numeri: le notizie più cliccate e condivise non sono necessariamente quelle più vere o più importanti.
Il contesto è aggravato dalla fragilità delle comunità cristiane, disperse in contesti dove predominano altre religioni o gruppi etnici, e dove lo Stato spesso fatica a garantire sicurezza o diritti. Il risultato è quello di una minoranza religiosa che vede attenuarsi progressivamente la propria possibilità di farsi ascoltare, di proteggersi e di organizzarsi, aumentando il senso di isolamento e vulnerabilità. La Chiesa copta e altre organizzazioni religiose denunciano come questa situazione si traduca in una silenziosa e lenta scomparsa di intere comunità cristiane, non a causa di una realtà inventata o amplificata dai media, ma perché la loro voce fatica a emergere tra le tante informazioni spesso caotiche del mondo digitale.
Nella Apella che è il mondo intero connesso alla Rete, non sentiamo la voce delle minoranze. Immaginate che il mondo sia un grande parlamento di mille persone. Avete 600 asiatici, 140 africani, 100 caucasici. Avete 300 cristiani, 250 musulmani, 2 ebrei.
Proprio come nella Apella spartana, sentireste solo le voci più numerose, indipendentemente dalla verità.